Grazie alla dolcezza dei bambini, mio figlio si sente come loro

Ariela è medico e mamma di Martin, un bambino talassemico di 8 anni: «Per lui ricevere il sangue significa poter vivere come i suoi compagni di classe. E tutto questo è possibile grazie ai donatori»

 

 

 

 

 

 

 

 

La spontaneità dei bambini è straordinaria. È quella forza pura e priva di malizia da cui, tante volte, ciascuno di noi dovrebbe prendere esempio. «I suoi compagni di classe lo aiutano sempre, soprattutto nei giorni in cui deve andare in ospedale per le trasfusioni. Gli portano lo zaino, gli stanno accanto, fanno in modo di non farlo sentire malato, ma speciale. La lezione più bella che potesse ricevere a scuola e che trasmette serenità anche a noi». 

 

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Chi parla è Ariela Hoxhareumatologa in servizio all’ospedale di Padova, città nella quale vive dai tempi dell’università quando lasciò l’Albania per iscriversi alla facoltà di Medicina. È sposata ed è mamma di Gabriel, 11 anni, e Martin, 8. Proprio lui, il più piccolo, è quello che viene aiutato dai compagni di classe: Martin è talassemico ed effettua trasfusioni da quando ha poco più di tre anni. «Sapevamo che mio marito era portatore di questa malattia (cugina, nonna e madre l’avevano avuta, ndr), mentre da parte mia non c’era mai stato alcun episodio – racconta – Prima della gravidanza avevo anche effettuato una serie di accertamenti per capire se le terapie che stava seguendo mio marito (affetto da una malattia rara di origine reumatica chiamata spondilite anchilosante, ndr) potessero incidere sul feto, ma non era emerso nulla che potesse far pensare che anche io fossi portatrice sana». Parliamo della gravidanza di Gabriel, il primogenito, che si conclude nel miglior modo possibile e con il bambino completamente sano. Pensando che tutto fosse normale la coppia decide di avere un altro bambino. Anche qui inizialmente nessun problema, Ariela addirittura ricorda di «aver lavorato fino a tre giorni prima del parto». Poi Martin viene alla luce in maniera un po’ “frettolosa”: viene richiesto un ricovero in terapia intensiva che però si risolve per il meglio e la famiglia può tornare a casa.

 

Nel primo periodo di vita non si registrano segnali strani, anche se, giunto ormai al terzo anno di età «ancora non inizia a parlare. Dopo un po’ noto che le sue urine sono scure, ma vedendolo sempre molto attivo non pensavamo avesse dei problemi. Quando lo visita la pediatra, però, le cose cambiano e ci chiede con urgenza un esame dell’emocromo e un’ecografia dell’addome perché fegato e milza erano ingrossati. Abbiamo pensato al peggio». L’esame del sangue riscontra subito una forte anemia, ma dall’ecografia non appare nulla. Il ricovero nell’oncoematologia pediatrica di Padova permette ad Ariela di capire che il figlio ha la talassemia e il successivo test genetico effettuato a Ferrara conferma non solo che il marito è portatore sano, ma che lo è anche lei: Martin, in pratica, ha ereditato un cromosoma malato da ciascuno dei genitori. Da quel momento iniziano le trasfusioni di sangue che, ancora oggi, effettua ogni 2 o 3 settimane. I benefici sono immediati: «Dalla prima sacca ha iniziato subito ad avere più forza e, soprattutto, ha cominciato a parlare – ricorda la mamma – Pensavamo che non ci riuscisse a causa di un ritardo, ma poi capimmo che era una difesa del suo organismo per conservare le forze vista la malattia. Grazie al sangue che riceve, mio figlio può condurre una vita normale come tutti i bambini della sua età: va a scuola, suona, gioca, balla, insomma, come è giusto che sia».

 

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In questo, la famiglia di Martin è supportata in maniera straordinaria dalla scuola. Oltre ai compagni di classe del piccolo, un ruolo determinante lo hanno ricoperto e lo ricoprono anche le sue insegnanti che, stimolando la fantasia che solo i bambini riescono ad avere, sono riuscite a spiegare a Martin la sua malattia inventando una favola: «Quella di un bambino con un sangue speciale», con l’obiettivo di non farlo passare come malato e diverso. E funziona? «Sì, anche se a volte ci chiede se le trasfusioni dovrà effettuarle per sempre». Per fortuna il periodo della pandemia non ha provocato stravolgimenti nella terapia di Martin, ma i timori sono stati tanti: «Da mamma e da medico ho vissuto il Covid in prima linea, con ansie e paure per motivi diversi – dice Ariela – Prima di tutto ero terrorizzata dall’eventualità di portare il virus in casa, visto che mio figlio e mio marito sono immunodepressi: per questo mi sono messa in autoisolamento così da evitare contatti. Poi avevo il pensiero dell’approvvigionamento, sperando che ci fossero sempre le sacche a disposizione».

 

E se a Padova non sono mancate, il merito è stato soprattutto di chi quel sangue lo ha donato: «Compiere questo gesto significa donare vita non solo a mio figlio, ma a tanti altri come lui, sia bambini che adulti. Si dona a tante persone la possibilità di vivere una vita normale. Martin – conclude – quando mancano pochi giorni alla trasfusione è senza forze: per lui quel sangue significa poter essere qui con noi ogni giorno. Da medico dico che chiunque può farsi avanti e diventare donatore, perché è una procedura sicura e vitale per tutti e, soprattutto, non esistono vaccini che possano compromettere la qualità degli emocomponenti. Inoltre, dai globuli rossi alle piastrine, passando per fattori della coagulazione, immunoglobuline e albumina, dentro quella sacca ci sono un’infinità di soluzioni terapeutiche salvavita».

LEGGI la testimonianza di Alberto