«Io, malata cronica e avisina, sono viva grazie ai donatori»
Una patologia rara diagnosticata in giovanissima età, due trapianti di rene e le sedute di plasmaferesi. Oggi Sara Capuzzi incontra gli studenti della provincia di Brescia per raccontare la sua storia: «Scegliere di donare significa salvare la vita delle persone»
Una difficoltà improvvisa. Una “compagna di viaggio” che non ti aspetti. Una salita da scalare per ritrovare quella condizione che, soprattutto in giovanissima età, ognuno di noi dovrebbe, o vorrebbe, vedere garantita: la salute.
Glomerulosclerosi focale segmentale è un’espressione con cui Sara Capuzzi, oggi 29enne, ha dovuto imparare a fare i conti molto presto: a soli 14 anni. Si tratta di una malattia rara che provoca la progressiva cicatrizzazione delle unità filtranti dei reni, portando spesso la patologia renale allo stadio terminale. Pur non essendo molto diffusa, è comunque curabile, ma spesso alla vita tutto questo non basta: serve addirittura rientrare in quel 10% di pazienti che non rispondono alle cure. Ecco, Sara è tra questi. Tutto inizia un po’ per caso.
«Stavo andando a scuola come sempre e camminando mi sono accorta di avere le caviglie gonfie – ricorda – sembrava come se me le fossi rotte, ma potevo comunque muovermi». Con la mamma va subito dal medico e dopo un primo consulto in ospedale ottiene la diagnosi. Comincia un percorso complicato fatto di numerosi e prolungati ricoveri: «Tra i 14 e i 16 anni ho trascorso più tempo nelle strutture sanitarie che a casa. Avevo livelli altissimi di creatinina (una sostanza che viene liberata nel sangue a seguito di lavoro o di danno muscolare. Il suo valore è un indicatore del funzionamento della filtrazione renale: se troppo elevato può essere appunto indice di danno renale acuto o cronico, ndr) e ho dovuto sottopormi a continui cicli di dialisi». L’unica nota, per così dire, positiva, riguarda il fatto che le sedute Sara può effettuarle a casa di notte con la dialisi peritoneale, la macchina collegata direttamente all’addome mentre dorme.
Il primo barlume di speranza arriva con il compimento della maggiore età, quando all’ospedale Gaslini di Genova riceve quello che sarà il primo trapianto di rene: «Fu un momento molto particolare per diversi fattori – racconta – uno tra questi l’aver saputo che la donatrice era una mia coetanea che purtroppo non c’era più. Insieme al contraccolpo psicologico, però, ho iniziato a capire quanto sia prezioso per tanti pazienti fornire il consenso alla donazione degli organi». Tuttavia, le cose non migliorano. Già poco dopo l’intervento, la malattia inizia subito a intaccare il nuovo rene e dopo altri tre mesi di ricovero, Sara deve di nuovo fare la dialisi.
Il secondo trapianto arriverà nel 2017, stavolta a Brescia (lei vive nella cittadina di Pavone Mella), e per fortuna l’esito è più felice rispetto alla volta precedente. È il periodo in cui Sara impara da vicino la cultura del dono anche di sangue ed emocomponenti: «Le trasfusioni mi hanno sempre accompagnata, sia dentro che fuori la sala operatoria a causa della mia forte anemia». Ma non solo.
Ancora oggi, dopo due trapianti, la vita di Sara è normale e serena perché scandita dalle due sedute di plasmaferesi al mese con le quali riesce a curare la malattia e, come dice scherzando, «a smaltire i miei anticorpi malati. A queste si aggiungono le infusioni di immunoglobuline da plasma donato che spesso devo ricevere. Insomma, se non fosse per i donatori non potrei essere qui a fare ciò che faccio». Tanto per spiegare ancora meglio di cosa parliamo, ogni volta Sara scambia 3 litri di plasma reintegrati con soluzione fisiologica e albumina ricavata dal plasma dei donatori: dal primo trapianto di rene a oggi, questa ragazza si è sottoposta a 467 sedute di aferesi.
Una tale esperienza l’ha portata a sviluppare la necessità di condividere con le persone il sentimento di riconoscenza per chi compie il gesto gratuito e volontario della donazione. Da qui il contatto prima con AIDO(l’Associazione italiana donatori di organi) e poi con Avis Comunale di Pavone Mella dove, ricorda, «si stava cercando di creare un Gruppo Giovani. Questa iniziativa mi ha aiutato a conoscere meglio l’associazione dove nel 2019 ho anche trascorso l’anno di Servizio Civile».
Oggi Sara incontra gli studenti del territorio, sia nelle scuole superiori che in quelle primarie: spiega alle nuove generazioni cosa significhi donare e cosa sia possibile fare grazie alla generosità: «Senza donazioni non si potrebbero effettuare interventi chirurgici e, posso dirlo, non ci sarebbero nemmeno le terapie salvavita come nel mio caso. Ecco perché dico grazie. A tutti».